14 Marzo 2025
Il senso di questa Coppa Italia

Voglio trovare un senso a questa Coppa Italia
Anche se questa Coppa Italia un senso non ce l’ha

Partendo da questa semicitazione di Vasco Rossi, riflettiamo sul paradosso del torneo. Ieri, tra l’indifferenza di molti, si è giocato un ottavo di finale tra Juve e Cagliari. Ottavi, sì: siamo ancora ai primi passi, ma già c’è chi ha perso l’orientamento. La Juve, affamata di riscatto dopo i troppi pareggi in campionato, ha banchettato sui sardi con un rotondo 4-0. Nicola, forse più con la mente alla salvezza che al sogno, ha riempito il campo di riserve, resistendo parzialmente un tempo prima di capitolare. Thiago Motta, invece, ha optato per un turnover misurato, con una difesa inedita che, però, ha funzionato. E così, mentre ci interroghiamo sul senso di una competizione spesso trascurata, i bianconeri avanzano senza intoppi. Ma il vero senso, forse, sta proprio qui: offrire riscatto ai grandi e speranza ai piccoli, almeno finché il divario non diventa incolmabile.

Si dirà: solo cinque partite. Ma dove sta l’incanto? Sempre in casa delle big, salvo quel “quasi” che concede una trasferta solo se la big in questione ha fallito l’anno prima. Una competizione senz’anima, priva di pathos, figlia di un calcio che si guarda l’ombelico. All’estero, invece, si narrano ancora epiche storie: squadre di provincia che sfidano i giganti in stadi da poche migliaia di posti, dove il calcio torna ad essere popolare, vero, pieno di romanticismo. Là, una coppa conserva ancora il sapore del miracolo. Qui, resta un pretesto per appuntarsi una medaglia senza valore.

Per ritrovare un’impresa del genere in Italia bisogna riavvolgere il nastro fino ai giorni in cui l’Alessandria eliminò lo Spezia, che a sua volta aveva fatto fuori la Roma, per poi salire sul palcoscenico di San Siro contro il Milan in semifinale. Un lampo di gloria, certo, ma una rondine non fa primavera. Il format attuale sembra quasi disegnato per disinnescare storie del genere. Non invita, non stimola il telespettatore a seguire certe gare, togliendo quel senso di epica calcistica che rende il calcio una favola, più che un copione già scritto.

La Coppa Italia interessa a coloro che devono salvare la stagione oppure a compendio di un percorso trionfale, aggiungendo un nuovo titolo. Ha senso, giustappunto, per chi deve realizzare il doble oppure mettere in bacheca un trofeo in un’annata diffiicle.

La Coppa Italia, al contrario, si rivela spesso più un intralcio che un’opportunità. Per chi si gioca lo scudetto nel caos di una bagarre, per chi insegue il quarto posto – o persino il quinto, con l’idea di riportare cinque italiane in Champions – è più un peso che un obiettivo. E non parliamo poi di chi, in quel periodo, è già sommerso dagli impegni europei: un fastidio, quasi una distrazione, che pochi sono disposti a tollerare davvero.

Chi scrive personalmente vede questo formato del tutto inutile. Un inutile doppione del campionato, seppur con partite a eliminazione diretta. Se il regolamento cambiasse, un po’ sulla falsariga della FA, magari ci sarebbe maggiore pathos. Non è affatto scontato che, in un campo di periferia, spinta dall’entusiasmo del proprio pubblico, una squadra di B o C possa eliminare una di A. Succede anche adesso ma in misura limitata.

In Italia, il calcio vive di passioni profonde, ma la Coppa Italia è trattata come un parente lontano, invitato più per dovere che per affetto. Gli allenatori la guardano con distrazione, i giocatori con sufficienza, e i tifosi spesso neppure la guardano. Una competizione che si trascina nel cuore di calendari congestionati, con una doppia semifinale che sembra più un ostacolo che un’opportunità. I soldi? Pochi, infinitesimali rispetto a quelli del campionato o, soprattutto, della Champions. E i vertici? Consapevoli della sua irrilevanza, hanno preferito ignorarla, come si fa con un vecchio cimelio che non si ha il coraggio di buttare. Finché regnerà questa pigrizia, questa paura del nuovo, la Coppa Italia stile FA Cup resterà un miraggio, un sogno irraggiungibile per chi cerca un calcio che sappia emozionare, persino nelle sue storie minori.