Oltre il tiki-taka: Il calcio come scacchiera in movimento

Roberto De Zerbi (foto Image Photo Agency)
“Enzo Fernández sa che se non la passa indietro lo sostituisco. Come il portiere, se gioca lungo lo sostituisco”.
Queste parole di Maresca riportano alla luce l’eterno dibattito tra chi detesta il tiki-taka di stampo guardiolista e chi invece preferisce un calcio più tradizionale, diretto e senza troppi fronzoli.
In realtà, al netto degli estremismi, ciò che molti tifosi faticano a comprendere è che il calcio moderno è profondamente cambiato: i tempi di gioco sono ridotti, la pressione a tutto campo diventa asfissiante e anche un semplice retropassaggio, nel giusto contesto tattico, può rivelarsi un fattore determinante. Oggi, parlare di possesso palla significa descrivere quattro momenti fondamentali del gioco: costruzione, sviluppo, rifinitura e finalizzazione.
È come un viaggio, dove tutto inizia dal portiere e finisce (si spera) con la palla che gonfia la rete avversaria. La costruzione prevede che il pallone venga gestito dalla difesa, spesso proprio con la partecipazione del portiere, per aggirare il pressing iniziale dell’avversario. Da lì si passa allo sviluppo, ovvero la fase in cui la squadra avanza in blocco, con un fitto giro di passaggi – o di schemi preordinati – che cerca di disordinare l’assetto difensivo rivale.
A seguire, ci sono la rifinitura e la finalizzazione, che rappresentano il momento in cui la trequarti e l’area avversaria diventano il teatro di giocate decisive, passaggi filtranti e tiri in porta. Il portiere, un tempo relegato al ruolo di “guardiano dei pali”, oggi diventa il primo regista arretrato: con i moderni schemi di pressing, la sua presenza nel palleggio crea superiorità numerica contro la prima linea di chi cerca di rubare palla.
È l’unico uomo che non viene marcato singolarmente. È come avere un giocatore aggiuntivo che, se impiegato con intelligenza, consente di dettare il ritmo del gioco, trovare varchi e ribaltare velocemente l’azione in zone di campo più avanzate. Molti scettici si chiedono a cosa serva un possesso palla così prolungato. La risposta è semplice: non è mai fine a se stesso. L’idea è spostare gli avversari, invitarli fuori posizione e creare disequilibri nelle loro linee difensive.
A volte si cerca di isolare l’uomo di maggior talento per sfruttare dribbling, altre volte si attira la pressione su un lato del campo per poi cambiare gioco improvvisamente dall’altra parte. Immaginate una ragnatela che piano piano avvolge la squadra rivale: ogni passaggio è un filo che limita lo spazio e il tempo di chi insegue. Tutto ciò si combina con la nuova concezione di pressione a tutto campo: le squadre non aspettano più, ma cercano di riconquistare il pallone in zona avanzata per trovarsi a pochi metri dalla porta.
In un contesto così frenetico, possedere la palla diventa un antidoto all’ansia di dover inseguire l’avversario. E qui torna centrale il discorso di De Zerbi, che in un intervento radiofonico disse: “Se con il 70% di possesso crei 10 occasioni anziché 4, hai più possibilità di colpire”. Un concetto semplice, statistico, che non garantisce la vittoria certa ma offre più frecce al proprio arco. Lo spettacolo, allora, si dipana tra rapidi scambi a ridosso dell’area, cambi di campo e retropassaggi che sembrano quasi provocatori, ma che in realtà servono a rifiatare, a riorganizzare la squadra e magari a lanciare un’imbucata improvvisa.
È un gioco che richiede una notevole lucidità e un’assoluta fiducia nei propri compagni: basta un passaggio impreciso, e si rischia di regalare una ripartenza sanguinosa. Quando i meccanismi funzionano, la squadra trova gli spazi giusti e trasforma il possesso in frequenti opportunità di finalizzazione. Ecco perché le parole di Maresca non vanno interpretate come un semplice diktat “o passi la palla o te ne vai”. Sono piuttosto il manifesto di una nuova visione calcistica, in cui anche il più “banale” dei passaggi indietro o il più “spavaldo” dei palloni tenuti tra i piedi del portiere possono trasformarsi in un passo decisivo verso la rete.
In un calcio dove la velocità di pensiero e la qualità tecnica sono componenti essenziali, anche le giocate che sembrano meno spettacolari diventano un tassello fondamentale per costruire qualcosa di concreto. Ogni match è un contenitore di sfide diverse: dentro la stessa partita si giocano più partite. A volte la squadra pressa alta sul lato, in altre occasioni preferisce difendere compatta e bassa. La chiave sta nella capacità di variare soluzioni, passando dalla fase aggressiva al controllo posizionale. Questo gioco camaleontico ricorda sempre più gli sport indoor, dove la transizione rapida è tutto. Come nel basket, l’adattabilità alle situazioni e la lettura immediata delle mosse avversarie risultano decisive. Il calcio moderno, dunque, tende verso uno stile sempre più dinamico, fatto di continue micro-battaglie tattiche.
E alla fine, al netto di chi disprezza il tiki-taka e di chi invoca il caro vecchio lancio lungo, questo è il senso profondo del calcio moderno: non soffermarsi a guardare il singolo passaggio, ma cogliere la strategia collettiva che lo sostiene. Un occhio allenato, tecnico, è capace di riconoscere il gioco di squadra nel senso più puro del termine. Dove persino un passaggio orizzontale può rappresentare la leva capace di far decollare l’azione decisiva.
Avvocato Antonio Torre
