14 Marzo 2025
Quattro spunti chiave di Juve-Inter

Foto account ufficiale Lega Serie A

La Juve di Thiago Motta ha battuto l’Inter di Simone Inzaghi grazie alla rete decisiva di Francisco Conceição. Juve che si insedia al quarto posto mentre Inter che vede il Napoli andare a +2.

Abbiamo individuato quattro spunti chiave su questa gara.

La Juve è un cantiere aperto, un’opera in divenire che fatica, inciampa, ma ha intrapreso un sentiero per trovare la propria anima. Il verbo calcistico di Thiago Motta è eresia per chi sogna la vecchia Signora operaia e cinica: lo si è accostato con troppa fretta al naufragio di Maifredi, un’analogia ingenerosa. Sarri fu liquidato senza appello, vedremo se l’italo-brasiliano godrà di maggiore indulgenza. Squadra verde, acerba, capace di inciampi ma anche di scatti d’orgoglio. Eppure, con l’arrivo di Kolo Muani, la musica è cambiata: via i pareggi, vittorie a grappoli e una sola sconfitta, per giunta maturata dopo un primo tempo incoraggiante. Il gioco non è sempre propositivo, l’equilibrio spesso precario, ma ogni rivoluzione ha le sue scosse di assestamento. Dopo una prima frazione spenta, nella ripresa la Juve ha cambiato marcia, segno che il seme è stato piantato. Con un paio di colpi giusti, il prossimo anno a Torino si potrà finalmente parlare di spettacolo, oltre che di risultati.

L’Inter ha rallentato proprio quando la strada sembrava sgombra, con settimane intere per lavorare sul campo. La rosa è lunga, sì, ma più in quantità che in qualità. Zielinski è l’ombra del regista ammirato ai tempi d’oro di Napoli, Mkhitaryan sente il peso degli anni e la difesa inizia a scricchiolare sotto la pressione. Le prime crepe si sono viste già all’andata contro i bianconeri, e i derby non hanno fatto che confermarle. La squadra di Inzaghi non è più il rullo compressore di qualche mese fa. La Supercoppa ha tolto energie? Sicuro. Ma anche l’età dei senatori e la modestia di certe alternative stanno presentando il conto.

Inzaghi ci ha messo del suo, al di là degli episodi. La Juventus non era partita benissimo, l’Inter sembrava padrona del campo, ma ha peccato nell’arte suprema del concretizzare. Giusto togliere un Taremi evanescente per Thuram, rivedibili le altre mosse: tra i subentrati, solo Zalewski ha mostrato un minimo di sostanza. L’illusione che più attaccanti significhino più gol è una sirena che spesso conduce sugli scogli: il forcing non è mai stato feroce, e la Signora ha tenuto botta. Dopo un primo tempo di dominio, l’Inter si è smarrita, crollando fisicamente e, ancor più grave, mentalmente. Né carne né pesce: incapace di decidere se accontentarsi del pareggio o cercare l’affondo letale. Quel che restava della supremazia nerazzurra della prima frazione era solo un’ombra sbiadita. Inzaghi ha fatto crescere il gioco della sua Inter, ma pecca ancora nei momenti decisivi. E nel calcio, quelli contano più di tutto.

Due squadre imperfette, ognuna con le sue crepe e le sue illusioni. La classifica dice otto punti di distanza, ma nelle due sfide di campionato non si sono visti. E nemmeno ieri. L’Inter, nel primo tempo, sembrava poter indirizzare la partita, come all’andata: aggressiva, padrona del campo, con il colpo giusto per passare avanti e controllare. Ma ancora una volta è mancata la tenuta mentale. E così è venuta fuori la Juve. I bianconeri, stavolta, hanno retto meglio dietro. All’andata avevano sofferto l’assenza di Bremer, ieri invece hanno trovato una solidità diversa. E poi c’è Renato Veiga, una sorpresa inattesa, tra i migliori in campo. Se l’Inter fatica a gestire i momenti decisivi, la Juve deve ancora dimostrare continuità. Il mercato di gennaio ha accontentato Motta: Kolo Muani era il tassello mancante, perfetto per la sua idea di calcio, molto più di Vlahovic. Inzaghi, invece, sa di non poter rinunciare a Thuram. I titolari sono di valore, ma quando servono alternative, le risposte latitano. E poi c’è il Napoli, imperfetto anche lui, con le sue difficoltà ma senza le coppe a ingombrare il cammino. Questo scudetto andrà a chi saprà sbagliare meno. La Juve, quest’anno, non era ancora pronta. Il prossimo, toccherà alla dirigenza e all’ambiente dimostrare maturità: non si può abbandonare Motta nel suo percorso.