È il momento di mantenere la calma in casa Roma. Molta ma molta calma. È uno di quei momenti in cui si percepisce un pericolo vero, una brutto domino di situazioni, in campo e fuori, che se possono andare male rischiano di andare peggio. La cosa più semplice del mondo, in un momento come questo, è sparare a zero su tutti a partire da chi guida la nave, cioè il signor Dan Friedkin, a chi allena, fino all’ultimo dei giocatori. Nessuno è esente da colpe, tutti hanno un briciolo di responsabilità se la Roma ha 13 punti in classifica, con soli 5 punti di vantaggio sulla terzultima, con un attacco che segna con il contagocce e un trittico di partite inquietanti alle porte in cui i giallorossi affronteranno Bologna, Atalanta e Napoli.
Nella “fatal” Verona, nonostante il risultato, gli errori arbitrali, le orripilanze tecniche di Zalewski, le mancate chiusure di Ndicka e chi più ne ha più ne metta, la Roma non ha giocato male, tutt’altro. Al netto di tutto quanto elencato sopra, i giallorossi hanno giocato con tutti i sentimenti, hanno attaccato e chiuso i padroni di casa nella loro metà campo per larghi tratti dell’incontro.
Non che davanti ci fosse la Juve, intendiamoci, ma in passato questi giocatori hanno dimostrato di riuscire ad impiccare partite ben più facili e “apparecchiate” di quella del Bentegodi. La squadra ha reagito al primo gol, all’ingiustizia del secondo andando a pareggiare due volte lo svantaggio. Nel finale, prima dell’azione che ha portato al gol del 3-2 per gli scaligeri, la Roma stava spingendo con il chiaro intento di portare a casa i tre punti.
I tifosi: lucidità e amore per far uscire la Roma dalla crisi
Il quadro è chiaro: la società è completamente e colpevolmente assente, oltre che disinteressata. Monsieur Ghisolfi rappresenta da solo tutta la dirigenza, la squadra è priva di leader. Juric sta cercando di tenere la barra a dritta pur dimostrando poca attitudine ai cambiamenti e tanto integralismo tattico. E poi gli arbitri… che sanno che fare un torto alla Roma non ha il peso specifico che farlo a squadre che hanno società più presenti.
Rimangono i tifosi, che devono assumersi una responsabilità: tifare incondizionatamente. Hanno la responsabilità di tenere la rabbia, verso la dirigenza, la squadra e in ultima parte verso l’allenatore, da parte, per un bene superiore che è la Roma. Perché se non fosse chiaro, sono rimasti solo loro a poter aiutare una squadra terribilmente debole caratterialmente, oltre che mediocre tecnicamente, a cambiare il corso di questa stagione.
Oggi è facile disamorarsi, è facile prendere di mira i vari Pellegrini, Cristante, Mancini o Zalewski. La cosa difficile è rimanere lucidi e incitare una squadra che ne ha bisogno come l’ossigeno, di fargli sentire che se dall’alto c’è disinteresse, da parte dei tifosi c’è amore incondizionato, c’è la voglia di aiutare la squadra a uscire da questa melma. A prescindere da tutto.
È facile tifare quando le cose vanno bene, ma amare è rimanere vicini nel momento del bisogno, nel momento in cui tutti gli squali sentono il sangue dell’animale ferito. Non è una cosa semplice, è quasi contronatura perché il primo istinto sarebbe quello di contestare tutti: a Trigoria, allo stadio, per strada, ovunque. Ma è questo il bene della Roma, di una squadra che deve affrontare le forche caudine di tre incontri proibitivi senza certezze tecniche, tattiche, ambientali? No.
Ci vuole tanta lucidità e sarebbe bello sorprendere la squadra, l’allenatore e soprattutto Dan Friedkin (sempre che in Texas si alzi per vedere la partita) contro il Bologna. Come? Riempiendo lo stadio di bandiere, fare un sold-out adesso che la Roma non va più di moda: tutti pronti ad incitare dal primo al novantesimo minuto, a prescindere da come si evolve la partita.
Una grande e civile risposta a chi trae profitto dalle disgrazie di questa squadra, di chi si sente in dovere di dire la sua su cose che non lo riguardano (vero Gasperini? vero Di Canio?), dai leoni da tastiera in stile “armiamoci e contestate” e di chi attraverso giornali, radio e televisioni costruisce una narrativa laterale e tossica.
Forse uno stadio unito, con 80.000 anime fomentate che tifino incondizionatamente contro il Bologna è utopia. Una cosa però è certa: il tifoso romanista non è un tifoso da “addio alle armi” e non ci sarebbe miglior risposta e miglior aiuto in questo momento ad una squadra debole, costruita da una dirigenza debole e da una proprietà assente.
Il calcio è la mia passione in ogni sua sfaccettatura: ho giocato tanto, ho allenato altrettanto e adesso mi piace raccontarlo.