24 Aprile 2025

Giuseppe Giannini, un Principe epurato

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Giuseppe Giannini compie oggi 60 anni. Raccontiamo l’apogeo del Principe e l’ingiusta epurazione dalla storia della Roma di uno dei tanti Capitani

Giuseppe Giannini, un Principe epurato

437 presenze e 75 gol con la maglia della Roma: questo il bottino di Giuseppe Giannini. Il Principe era Il Capitano per antonomasia prima dell’arrivo di Totti. Giannini era il faro di una Roma che in quegli anni era una fede piena di dogmi.

Il calciatore romano era elegante, intelligente e associativo. Mostrava l’eleganza palla al piede, era coscienzioso e dotato di spiccata personalità nell’andarsi a prendere palla dai difensori. Era infine un perfetto uomo squadra, vista la capacità associativa sia nelle transizioni difensive sia in quelle offensive.

Il suo talento e il suo estro lo facevano sembrare un fuoriclasse. Non aveva qualità da fenomeno, ma quando era in giornata riusciva a esaltare tutti i suoi pregi. Eppure il palmares scarno non rende giustizia alla sua carriera. Dopo la beffa mondiale a Italia ’90 dichiarò che avrebbe voluto iniziare a vincere qualcosa.

Giuseppe Giannini verrà, pertanto, identificato sempre con un Principe senza corona. E dire che, quando militava nell’Almas, sarebbe potuto finire al Milan dopo che Rivera gli regalò la celebre maglia numero 10. Il ragazzino romano fu tuttavia convinto da Perinetti ad andare alla Roma per giocare «quei grandi giocatori che fino al giorno prima avevo visto solo sulle figurine».

Gli inizi

Il suo impatto in giallorosso andò oltre le aspettative. Il giovanissimo Giuseppe non si fece fagocitare dalle aspettative e il peso di Falcao si rivelò meno travolgente del previsto. A Roma, oggi come allora, i giovani locali potevano diventare degli Dei o la loro reputazione poteva essere stroncata. Tertium non datur. Falcao era l’Ottavo Re di Roma, Giannini divenne presto il suo delfino, vero e proprio Principe.

Giannini e Falcao

 

Nils Liedholm gli diede subito fiducia:  «Solo Rivera era più svelto di lui nell’imparare». Eppure l’esordio, avvenuto nel 1982 in un match casalingo contro il Cesena, non fu dei migliori. Un clamoroso malinteso con Falcao innescò il contropiede degli ospiti, che espugnarono lo Stadio Olimpico. «Qualche giorno dopo quell’errore giocai un derby con gli Allievi Nazionali e feci una grandissima partita».

E Falcao in persona convinse il presidente Dino Viola a non mandarlo in prestito. Negli anni di Eriksson Giannini tornò in prima squadra, sviluppando una declinazione personale del ruolo del 10, ergendosi a fulcro della manovra. Pochi anni prima, nel calcio italiano c’era Antognoni. Qualche anno dopo, approdò Manuel Rui Costa.

Non avendo avuto la possibilità di partecipare alla campagna scudettata con Liedholm, il Principe viene ricordato, in maniera ingenerosa, come uno dei simboli di una Roma lontana dalla vittoria del Campionato, troppe volte sconfitta, come una zattera troppo spesso alla deriva. Dopo l’addio di Agostino Di Bartolomei, il giovane centrocampista romano divenne titolare nel 1984. In quella stagione segnò un grandissimo gol contro la Juve dopo una corsa lunga 50 metri.

 

L’apogeo

Nei suoi anni migliori Giannini era elegante, promettente, talentuoso e, a tratti, travolgente. Il Principe sfugge a qualsiasi definizione di centrocampista, ma le abbraccia tante, almeno in parte. Non è stato un regista compassato né un trequartista puro tantomeno un centrocampista box-to-box. Era mezzala tecnica, incursore, volante e accentratore.

Ai Mondiali di casa è stato il Re, ancor più che il Principe, del centrocampo di Azeglio Vicini. Il CT affermava: «Quasi sempre l’Italia è quello che Giannini decide sia». Il centrocampista della Roma era il cuore di quell’Italia, grazie alla sua capacità di “cucire” il gioco.

Nel 1986, l’Avvocato Gianni Agnelli offrì a Giannini un assegno in bianco per portarlo alla Juve. E l’Avvocato aveva il palato fine. La Roma rifiutò e nel 1986 fu insignito di una carica nobiliare ancora più illustre, quella del Principe Capitano. Nel 1987/1988, schierato qualche metro più avanti, arrivò a segnare 11 gol in Serie A, bottino notevole per l’epoca.

Venerato come un semidio, Totti lo aveva come idolo e ricorda sempre di avere un suo poster in camera. Nel pieno della carriera, Giannini produceva un perfetto mix di classe e concretezza. A movenze pregevolissime e a veroniche da spellarsi le mani univa una capacità mortifera di trovare il compagno al posto giusto o la porta.

Il rapporto con parte del pubblico giallorosso è stato di amore e odio. Giannini ha risposto spesso con senso di sfida e polemica a chi lo ha apostrofato e criticato. Eppure la miglior replica la ha data sul campo. Eppure, inoltre, al suo amore incondizionato da parte di una fetta di pubblico faceva da contraltare l’odio (passeggero) implacabile di un’altra frangia.

Giannini contro lo Slavia Praga, l’ultimo bacio del Principe

 

«Per me la Roma è sempre stata una questione di cuore, più che una professione». La vita del romano e romanista può essere tanto perfetta quanto grama. All’apogeo sei il Re (o il Principe) di Roma. Quando le cose vanno male diventi il primo capro espiatorio. Eppure da questa gabbia con le sbarre d’oro il Principe non ha mai desiderato scappare.

L’ingiusta epurazione dalla storia

Nel 1996 Giuseppe Giannini è stato costretto a rinunciare a chiudere la carriera nella squadra della sua amatissima città. Dopo aver sbagliato un rigore in derby fece affermare all’allora presidente Franco Sensi che “chi sbaglia un rigore contro la Lazio non è degno della maglia romanista”. Saranno state dichiarazioni di troppo amore, ma ingenerose per un calciatore che ha fatto la storia della Roma ed è stato ingiustamente epurato dalla leggenda.

Quel maledetto 6 marzo 1994 si giocò un derby che vide di fronte due squadre che venivano da sette pareggi consecutivi nella stracittadina. Il portiere della Lazio era Luca Marchegiani, trafitto da Giannini nei tre rigori precedenti. Ma quella volta il portiere biancocelste neutralizzò la battuta dagli undici metri. Un giornale intitolò irriverente: «I Signori hanno vinto e i Principi sono scesi dal trono». La rete decisiva fu segnata, appunto da Beppe Signori.

La risposta di Giannini al presidente Sensi non si fece attendere: «Ha detto così? Se la ricorda Sensi la finale di Coppa dei Campioni? E quella del 19 Giugno scorso in Coppa Italia? Era lui il presidente quando segnai tre rigori a Marchegiani?». Tra Sensi e Giannini non c’è mai stata particolare simpatia e la barca stava oramai per affondare.

E poi arrivò Roma-Slavia Praga. La squadra di Mazzone, a San Giuseppe, era chiamata a ribaltare la sconfitta per 2-0 patita in terra ceca. La gara di Giannini fu pressoché perfetta, da grande torero che riesce a dominare la scena al cospetto di un’arena gremita in ogni ordine di posto. Quando i calciatori “scherzavano e ridevano” arrivò poi il gol del 3-1 dello Slavia Praga, che suonò come una beffa atroce.

Giannini e Totti

 

Il Principe ricorda con tristezza, sdegno, rabbia e afflizione questa partita, avendo visto vanificare i suoi sforzi da un errore dei compagni. «Me ne vado, l’ambiente è troppo cambiato». Qualcuno pensava a uno sfogo a caldo, ma il calciatore romano finì per andarsene davvero.

Dopo l’esperienze a Graz, Napoli e Lecce, Giannini appese poi gli scarpini al chiodo. A Napoli ritrovò il “suo” Carlo Mazzone, ma era una società disastrata, in crisi tecnica ed economica, e fu costretto a lasciarla dopo pochi mesi. E la sua festa di addio alla Roma, avvenuta il 17 maggio 2000, fu tragicomica.

Era l’anno dello scudetto della Lazio. Il presidente Sensi venne contestato strenuamente dal tifo giallorosso. Durante l’amichevole tra Roma e nazionale italiana del 1990, si verifica un’invasione di campo con tifosi che strappano zolle, divelgono i pali della porta e abbattono la traversa. Giannini riemerge in campo con gli agenti in tenuta antisommossa.

Beffa delle beffe, l’Olimpico fu sorvolato da un velivolo che esponeva uno striscione recitante “Lazio Campione d’Italia”. Lo striscione improvvisato con la scritta “Scusa” non rese meno amaro quell’addio tragicomico. Il Principe fu quindi protagonista involontario di una rappresentazione scenica della sua avventura alla Roma.

Un’avventura dove ha vissuto uno splendido apogeo e un trattamento ingiusto. Ingiusto come una carriera con troppi pochi trofei in proporzione al valore immenso del calciatore. Così come ingiusta è stata la definizione di “antetotti”, come se fosse un capitano qualsiasi, uno dei tanti. Ma è proprio vero che a Roma non esiste un solo capitano. E Giannini era uno dei Capitani per antonomasia.

Vincenzo Di Maso

 

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