Secondo alcuni la gara con il Sassuolo rappresentava per il Napoli l’ultima occasione per tentare di rimescolare le carte nella rincorsa alla tanto desiderata Champions League. Approfittando anche dell’altro recupero, quello tra Inter e Atalanta. Ovviamente, la sconfitta degli orobici non ne mette ancora in discussione le chance europee. Tuttavia, lascia un risicato margine di speranza agli azzurri di poter continuare a sperare in una clamorosa rimonta. Specialmente se domenica sera dovessero strappare una eventuale vittoria sulla Juventus.  

La brillante vittoria dei Campioni d’Italia al “Mapei Stadium”, tuttavia, ha contribuito a riaccendere un antico dibattito, tra chi considera l’allenatore il fulcro del gioco espresso dalla sua squadra. Sostanzialmente, in grado di influenzarne le dinamiche. Una filosofia chiaramente in antitesi rispetto a quelli che invece attribuiscono al “manico” in panchina un ruolo marginale. In ossequio alla teoria per cui basta che non faccia troppi danni con scelte cervellotiche. Appunto, si limiti ad amministrare il talento degli uomini in organico, mettendoli nelle condizioni per esprimere al meglio le loro caratteristiche.

Finalmente le mezzali

Proprio in questo scenario Calzona sta cercando disperatamente di sollevare le sorti della stagione partenopea, rispolverando in maniera netta il 4-3-3. Una sorta di continuità tattica con il passato, arricchita dalla volontà di aggredire in avanti il Sassuolo. Attraverso il pressing, gli azzurri hanno chiuso ogni linea di passaggio pulita alla costruzione ai neroverdi in fase di costruzione.

Nonché incastrato Traorè e Anguissa alle spalle degli avversari. Le due mezzali sono state fondamentali nello spezzare i raddoppi, così da disinnescare il tentativo predisposto da Bigica di fare grande densità centrale. Perché con il loro dinamismo, prima entravano dentro al campo, occupando gli “half spaces”. Poi svuotandoli immediatamente, con il taglio verso l’esterno. Un di più, dunque, l’invenzione del camerunese, che ha inventato una giocata fenomenale, per smarcare l’accorrente Rahamani a rimorchio.

Osimhen immarcabile

Bisogna aggiungere che vista l’enorme differenza di valori manifestati dal campo, se dopo il pareggio i padroni di casa – palesemente in crisi di identità – non sono mai più riusciti a impensierire il Napoli, qualche colpa va sicuramente loro ascritta. Una considerazione che, da un lato, assottiglia un pochino il confine tra meriti partenopei e demeriti emiliani. Dall’altro, comunque, non deve condizionare il giudizio assai lusinghiero sulla prestazione complessiva.     

Invero, la squadra di Calzona ha avuto vita facile negli scambi di posizione. Ma la qualità col pallone tra i piedi è stata determinante per costringere i neroverdi a correre all’indietro, dettando poi quelle imbucate verticali con cui Osimhen ha letteralmente cannibalizzato la retroguardia altrui. Per quanto Ferrari e Tressoldi abbiano svolto diligentemente il compitino, seguire il centravanti nigeriano nel suo tipico movimento dietro la linea, alla lunga è stato impossibile assorbirne gli strappi in profondità.

Kvaradona è tornato?

La grande ispirazione di Kvaratskhelia un’altra chiave del dominio napoletano; quella proverbiale capacità di leggere la situazione e isolarsi in uno contro uno ha sovrastato Pedersen,costringendo più volte il Sassuolo a difendersi in affanno, e garantendosi al contempo un vantaggio numerico e posizionale. Una volta ripulito il possesso, era inevitabile che il Napoli si riversasse nella metà campo avversaria, invadendo fasce e corridoi centrali.   

Insomma, Calzona deve essere necessariamente soddisfatto. Magari solo a metà, visto che la distanza dalla zona Champions non è poca. Rimane la percezione che un filotto di prestazioni convincenti, abbinati a risultati positivi, possa in ogni caso mantenere viva la fiammella europea.    

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