Nell’immaginario collettivo, Walter Mazzarri avrebbe dovuto frettolosamente riparare i danni inenarrabili prodotti da altri. Invece, con profonda mestizia, sembra il momento di guardare in faccia la realtà, e prendere consapevolezza che questo Napoli probabilmente è arrivato alla fine del suo ciclo. Triste doverlo ammettere, ma forse una parte consistente del gruppo attuale ha raggiunto il punto più alto, in termini di rendimento emotivo e tecnico-tattico, della propria carriera. Ovviamente, questo non significa che il loro percorso si esaurisca all’ombra del Vesuvio. Soltanto che dovranno cercare nuovi stimoli professionali altrove.

In questo scenario surreale, con la Coppa d’Africa sullo sfondo a peggiorare una situazione di per sé già abbastanza scombussolata, interrogarsi su quanto sia giusto sottolineare gli errori commessi dalla società nella gestione del post scudetto appare questione di lana caprina. La proprietà non sta facendo altro che raccogliere inevitabilmente i frutti di scelte pessime. Appesantite dal mercato incombente, in grado di generare clamorosi mal di pancia nello spogliatoio partenopeo. Peggio dei dolciumi della Befana, infatti, ci sono solamente le sgradevoli dichiarazioni di Giuffredi o le ipervalutazioni attribuite ai mezzi giocatorini da sedicenti esperti.

Deleterio, dunque, continuare a puntare il dito verso De Laurentiis. Se la filosofia del presidente non è cambiata di una virgola nemmeno in presenza di un evento dalla portata storica, capace di determinare poi un ingente flusso di ritorno, sul piano sportivo ed economico, allora guardare indietro contribuisce soltanto ad alimentare nei tifosi una dolorosissima ulcera gastrica.

Complici, vigliacchi e colpevoli

Purtroppo Mazzarri ha limiti endemici. Nondimeno, merita almeno rispetto. Pur godendo di un abbondante credito mediatico, comunque in via di esaurimento. Giornalisti vari e opinionisti assortiti, tra radio, tv e social possono aver creato un clima benevolo, facendo da sponda al ritorno dell’allenatore toscano.

Addirittura, un noto quotidiano sportivo nazionale ne aveva neanche tanto velatamente sostenuto la candidatura, attraverso una lunga intervista. Dimenticando, però, di rimarcarne gli ultimi fallimenti, caratterizzati da esoneri in serie. Una narrazione confusionaria, funzionale a disegnare Garcia alla stregua del classico francese, giudicandolo tremendamente spocchioso, oltre che un po’ radical chic. Così da amplificare furbescamente i dubbi dell’intero ambiente napoletano circa l’opportunità di affidargli la panchina dei Campioni d’Italia.

Ma fino a un certo punto. Perché adesso, astenersi dal raccontare i fatti nella loro crudezza, magari timidamente oppure in sordina, diventa omertosa ingenuità, se non complicità evidente.  

Insomma, che responsabilità può mai essere imputata a chi, da tempo fuori dalla mischia, ha colto l’occasione di rientrare nel giro che conta, provando maldestramente a riconfigurarsi in un calcio lontano anni luce dal suo modo di giocare. Al limite, l’unica accusa che si dovrebbe muovere a Mazzarri è di essersi riempito talmente la bocca del calcio spallettiano, da averci davvero creduto. Lui che al di là della difesa a tre, non ha proprio idea di cosa sia lo sviluppo laterale attraverso il sovraccarico sul lato forte, associato all’utilizzo del cambio gioco. Men che meno il ricorso alle rotazioni e agli interscambi sulle catene esterne, per destrutturare le difese altrui.

La confusione sta tutta qui: bisognava scegliere un tecnico che facesse migliorare il Napoli. Anzi, mettesse i giocatori nelle condizioni di dare il massimo, in rapporto alle loro caratteristiche e potenzialità. Sostanzialmente, si è sbagliato in estate. E non c’è stata la giusta dose di coraggio per intervenire e porre rimedio in corso d’opera.

Ecco perché oggi chi detiene il titolo è come l’Edenlandia…

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