Matt Le Tissier, un dio vilipeso
Oggi Matt Le Tissier compie 52 anni. Ricordiamo questo genio inglese, vilipeso da molti, ma diventato idolo di un certo Xavi…
«Il suo talento era semplicemente fuori dalla norma. Riusciva a dribblare sette o otto giocatori ma non in velocità, li superava a camminando. Per me è stato sensazionale. In Catalogna trasmettevano un programma di mezz’ora ogni lunedì, con tutti i migliori gol della Premier League. Le Tissier c’era sempre. Segnava dei gol oltraggiosi! Era incredibile, ed è rimasto al Southampton, poteva giocare ovunque. Tutta la nostra famiglia aveva un’ossessione per Le Tissier». Parole e musica di Xavi, riferendosi a uno dei suoi eroi d’infanzia, la leggenda del Southampton Matt Le Tissier.
Ribattezzato Le God dai tifosi del Saints, Le Tissier è uno dei giocatori più iconici del primo decennio della Premier League. Nonostante abbia giocato per tutta la sua carriera in una delle squadre meno competitive del campionato inglese, Le Tissier ha ottenuto un livello di apprezzamento che va ben oltre i confini di The Dell, il vecchio stadio del Southampton.
Era un giocatore dal talento maestoso, compendiato da una sicurezza dei mezzi fuori dall’ordinario, nonostante sembrasse poco aggraziato. Era un genio languido, disinvolto, laconico, con un contegno rilassato e disinvolto e una calma olimpica che non facevano trasparire il talento che avrebbe tirato fuori.
Emerso alla fine degli anni Ottanta, Le Tissier era un trequartista dotato di capacità tecniche che lo ponevano su un altro livello rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei. La percezione del suo talento è sempre stata offuscata dal suo stile compassato. Mancava di ritmo e di resistenza, ma compensava con la sua intelligenza tattica e la sua capacità di ingannare e superare gli avversari. Matthew Le Tissier è stato un talento in parte incompreso, vilipeso, accusato di non badare alla linea e di essere poco propenso al sacrificio di non avere l’istinto agonistico del campione.
Le Tissier debuttò con la maglia del Southampton all’inizio della stagione 1986/87, a soli 17 anni, in una sconfitta per 4-3 a Norwich. Qualche giorno più tardi, nel match contro il Tottenham, partì titolare per la prima volta, e gradualmente si fece strada in prima squadra sotto la guida del tecnico Chris Nicholl. Nella prima stagione mise a segno 6 gol in 24 partite di campionato, compresa una tripletta contro il Leicester.

Nel 1990 era uno dei migliori marcatori del campionato, con 20 centri in First Division, superando Ian Rush, un record battuto solo da Gary Lineker e John Barnes. Anche agli albori della carriera, i suoi gol erano spesso tra i più spettacolari del campionato. Nel 1989-1990 vinse il premio come giovane dell’anno ed era titolare dell’under 21.
All’inizio dell’era della Premier League (la competizione fu istituita nel 1992), Le Tissier era già richiesto dai club più grandi d’Inghilterra. Gli venne proposto il passaggio al Tottenham (sua squadra del cuore dell’infanzia) e, di fatto, il calciatore accettò.
“Stavo per firmare il contratto, ma poi cambiai idea perché stavo per sposarmi e la mia fidanzata di allora non aveva voglia di vivere a Londra”.
Quella scelta, da un lato, ci ha impedito di poter ammirare il trio Le Tissier-Lineker-Gascoigne, ma dall’altro lato ha identificato questo calciatore di Guernsey con un unico club. Chissà che ne sarebbe stato di Le Tissier. Magari sarebbe diventato tra i migliori calciatori d’Europa, oppure sarebbe rimasto uno dei tanti e nessuno lo avrebbe ricordato come God. I suoi successi gli fecero guadagnare uno status di leggenda per i tifosi di Southampton di culto per i tifosi di tutto il campionato. All’ingresso dello stadio del Southampton campeggiava uno striscione: “Benvenuti nella casa di Dio”.
In un’epoca in cui il 4-4-2 non era solo la regina, ma era di fatto l’essenza di tutte le formazioni, Le Tissier ruppe gli schemi di ciò che un centrocampista poteva fare. Non calzando a pennello in una formazione così rigida, a volte gli veniva concessa una licenza limitata per vagare dietro le punte, dandogli l’opportunità di tenere la palla in una posizione in cui poteva creare occasioni dal nulla. Le sue esecuzioni sembravano sfidare le leggi della fisica e i suoi dribbling, con un passo così compassato, erano da vero e proprio illusionista.
La fase della carriera Le Tissier tra la metà e la fine degli anni ’90 è riassunta al meglio da una serie di meravigliosi gol, con la stagione 1993/94 che ha rappresentato probabilmente il suo apice. In quella stagione ha segnato 25 gol in Premier League, aiutato non poco dalle realizzazioni da calcio di rigore. Le Tissier ha segnato 47 rigori su 48 in carriera. L’unico portiere a negarli la gioia del gol da massima punizione, Mark Crossley del Nottingham Forest, classifica il suo rigore di Le Tissier come una delle migliori parate della sua carriera. Moltissimi dei suoi gol da fuori area sono state autentiche perle.
I suoi due gol in una vittoria per 2-1 sul Newcastle nel 1994 possono essere annoverati tra i migliori della sua carriera. In particolare, quello del vantaggio dei Saints lo realizza di destro dopo una straordinaria azione prima della rete. Le Tissier controlla il pallone di tacco (un po’ alla Cassano in Bari-inter), anticipa un avversario con la punta del piede e ne supera un altro con un sombrero. Davanti al portiere fa partire un tiro di destro, tra l’altro insolitamente non pulitissimo per un calciatore aggraziato come lui.
È stato un capolavoro di gol a prescindere, e forse quello per cui sarà ricordato più di tutti. Eppure ce ne sono altri che gli fanno concorrenza. Uno da lasciare a bocca aperta è quello segnato il 26 ottobre 1986 a un certo Peter Schmeichel del Manchester United. Dopo aver superato due avversari in un fazzoletto, come al solito non in velocità ma in maniera compassata e con i tempi perfetti per evitare di farsi togliere palla, Le Tissier vede Schmeichel fuori dai pali. Il danese è altissimo e può arrivarci con la manona, per cui non basta un semplice pallonetto. La traiettoria del trequartista del Southampton è perfetta e il lob è carico di effetto.
Questa spettacolarità e questa regolarità nel rendere ordinario lo straordinario riassumevano la sua fiducia in sé stesso e nella sua capacità di tentare ciò che gli altri non avrebbero mai nemmeno preso in considerazione. Ma è servita anche a rafforzare la percezione che il Southampton fosse una squadra composta da un solo uomo. La frequenza con cui le sue esibizioni servirono a evitare la retrocessione per i Saints rafforza ulteriormente la percezione.
Per gli amanti dell’estetica e dell’iconico, è un vero peccato che un calciatore così talentuoso e amato non sia riuscito a lasciare il segno a livello internazionale. Ha totalizzato solo 8 presenze con la nazionale inglese e ha avuto un impatto trascurabile, in parte per l’abbondanza di talento d’attacco di cui i Tre Leoni disponevano all’epoca, ma soprattutto a causa dell’annoso problema di inserire un trequartista in una formazione così rigida. Non ha mai segnato per la nazionale maggiore e, anche se ha realizzato una tripletta per l’Inghilterra B prima delle convocazioni per la Coppa del Mondo 1998, non riuscì a superare il “taglio”. Lo stesso Le Tissier non si è mai ripreso del tutto dopo quella battuta d’arresto.
Non c’è dubbio, però, che questo notevole talento abbia lasciato un segno indelebile nella Premier League e nel calcio inglese in generale. Aveva il dono di riuscire a cambiare da solo una partita e, data la poca competitività dei Saints, era un compito che gli veniva ripetutamente richiesto di svolgere. La palla gli si attaccava ai piedi come colla, creando occasioni dal nulla, il più delle volte in modo spettacolarmente improbabile. Era un enigma, un talento istintivo che poteva sfidare la norma, e sarà uno dei migliori calciatori del primo decennio della Premier League.
Le Tissier può essere considerato il Di Natale inglese per la sua scelta di essere protagonista e un “Dio” in periferia. A riguardo, le sue parole sono emblematiche: «Di me hanno detto spesso che mi piaceva essere il pesce grande nello stagno piccolo. Sarò onesto: è vero, amavo essere al centro dell’attenzione, sentire la pressione delle aspettative che la gente riponeva nei miei confronti. Non ho mai sopportato l’idea di deludere queste persone, volevo farle divertire. Vincere è grandioso ma non è mai stato tutto per me, e credo che sia stato questo a rendermi diverso dagli altri. Non sono mai stato un buon perdente, non mi piaceva perdere, ma c’era una parte di me che voleva dare spettacolo, far apparire un sorriso sul volto della gente. E mettere spesso un pallone sotto l’incrocio da 25 metri mi sembrava un buon modo per riuscirci».
Vincenzo Di Maso

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione