L’ascesa dei petroldollari nel paese della “Perfida Albione” ha cambiato drasticamente le sorti della Premier League (e della politica estera inglese). Vediamo come.

Era un giovedì di luglio del 2012 a Londra: i media di tutto il mondo avevano richiamato l’attenzione globale ad un evento tanto storico quanto del tutto inedito. Quella sera, il cielo di Londra era stato teatro di uno spettacolo di laser blu e verdi che illuminavano un grattacielo di ben 310 metri, accompagnati dalle note della London Philharmonic Orchestra. Lo Shard era diventato, di fatto, l’edificio più alto dell’Europa Occidentale.

Le telecamere di soffermarono sugli ospiti d’onore : vicino al duca di York ed al sindaco di Londra, Boris Johnson (l’attuale Premier inglese), fece rumore la presenza del Primo Ministro e Ministro degli Esteri del Qatar, Hamad bin Jassim al-Thani. Se la creazione dell’edificio più alto dell’Europa occidentale, presieduto da Hamad (il cui fondo sovrano del paese possiede il 95 per cento dello sviluppo) è stata una dimostrazione della rapida crescita della visibilità e dell’influenza globale del Qatar, pochi giorni prima, in un edificio altrettanto vasto ma più vecchio, tale influenza era stata esercitata in modo molto più discreto. L’edificio era il Palais des Nations delle Nazioni Unite a Ginevra, dove alcuni giorni prima Hamad aveva incontrato il segretario di Stato americano di allora, Hillary Clinton, ed altri ministri degli Esteri per insistere sulle condizioni del suo paese per una più ferma azione internazionale sulla Siria.

La nascita di un impero

Entrambe le scene hanno sottolineato ben presto un fenomeno: la rapida ascesa dei petrodollari in Inghilterra e non solo. Focalizzandoci sulla realtà inglese, le mire espansionistiche d’investimento hanno portato al-Thani, attraverso le società di sua proprietà, la Qatar Holdings e la Qatar Investment Authority, a spendere più di 13 miliardi di sterline tra il 2010 ed il 2012 per l’acquisto di Chelsea Barracks, Harrods e l’Olympic Village. Il Qatar è diventato in brevissimo tempo il maggiore azionista di Barclays Bank la quale, guarda caso, tra il 2001 ed il 2016 era diventata partnership ufficiale della Premier League, prendendone anche il “title sponsor”. E mentre si aprivano definitivamente le porte di Parigi, anche Manchester si apprestava stendere tappeti rossi e piogge di petali di rosa.

“Sir Mansour” ed il giocattolo inglese

Si, stiamo parlando di un giocattolo che ha prodotto in 10 anni fino alla fine del 2020 un utile di 1,7 miliardi di sterline dovuto dalle entrate commerciali. Se pensiamo che nello stesso periodo squadre di dimensioni e status simili quali Liverpool, Chelsea e Arsenal avevano avuto una media di 1,1 miliardi di sterline ciascuno, è evidente come Mansour ed il suo City abbiano guadagnato 600 milioni di sterline in più proprio grazie agli accordi commerciali stretti tra il suo “giocattolo” ed il suo paese d’origine, gli Emirati Arabi.

All’inizio della stagione 2020-21 il Manchester City aveva una squadra che era costata 1.063 miliardi di euro (ovvero 974 milioni di sterline) in commissioni di trasferimento, la più costosa nel calcio globale. Fa ancor più rumore il fatto che durante la stagione 2019-20, fortemente colpita dalla pandemia, nel mentre la maggior parte dei club stava tagliando i costi, il tetto salariale del club continuasse ad essere il più alto totale di una stagione nella storia del calcio inglese con 351,4 milioni di sterline.

La stessa città di Manchester ha ricevuto ben 122 milioni di sterline proprio grazie alle sponsorizzazioni di partners vicini allo sceicco seppur di non origine araba. Questo episodio ha suscitato clamore mediatico in Inghilterra, a tal punto da aver “costretto” le autorità garanti ad indagare nel 2020 proprio Mansour per violazione delle regole finanziarie.

In realtà, Abu Dhabi aveva già vinto la sua “parita più importante” a Manchester nel 2013 quando aveva formalmente stipulato un accordo immobiliare da un miliardo di sterline con il Consiglio comunale di Manchester. Tale accordo che specificava “le modalità commerciali” per l’impresa comune è stata tenuta segreta in quanto “comportava l’esame di informazioni esenti relative agli affari finanziari o commerciali di determinate persone” ( come sostiene il ricercatore per i diritti umani Nicholas McGeehan).

Il Guardian tentò di ottenere il rapporto attraverso una richiesta di libertà di informazione, ma il consiglio negò la richiesta, citando “il rischio di pregiudizio agli interessi commerciali”. Non è chiaro, ad ogni modo, se intendessero gli interessi commerciali del consiglio o gli interessi commerciali di Abu Dhabi, che nel caso di questo accordo sono tutt’ora gestiti da una società registrata off-shore nel paradiso fiscale di Jersey.

Un futuro sempre più nero

Dietro l’ascesa dei petrodollari pare dunque esserci di più, molto di più. Le guerre intraprese dal governo di Abu Dhabi in questi ultimi anni in Siria e nel Golfo hanno fatto capire al mondo intero quanto i proprietari del City siano rapprensentati dal governo più “bellico” che gestisce una squadra di calcio. Segue il Qatar, ovviamente, e siamo sicuri che non esistano tifosi del PSG che ritengano le guerre intraprese della proprietà della squadra parigina nel suolo arabo ingiuste ed immorali.

Una rapida occhiata alle probabilità degli allibratori per la Champions League di quest’anno rivela fino a che punto il calcio europeo di alto livello dipenda ora dai finanziamenti di Abu Dhabi o del Qatar. Del Manchester City e del Paris Saint-Germain ne abbiamo già ampiamente parlato. Ma che dire del il Bayern Monaco, le cui maglie sono ora sponsorizzate dal Qatar? E del Barcellona, che solo di recente ha concluso un contratto di sponsorizzazione di sette anni con il Qatar? Oppure del Real Madrid, che ha venduto i diritti di denominazione al loro nuovo stadio ad Abu Dhabi?

Nicholas McGeehan prova a rispondere:

All’inizio del 2020, l’Arabia Saudita e Abu Dhabi hanno interrotto i legami diplomatici con il Qatar e imposto un blocco economico, accusando il Qatar di allinearsi all’Iran e sostenendo i gruppi terroristici islamici. Tuttavia, mentre queste accuse mascheravano secondi fini, l’antipatia tra i paesi in questione è tangibile e non sarebbe una grande sorpresa se Al Nahyans decidesse di rinominare lo stadio Santiago Bernabeu del Real Madrid “Qatar / ISIS Alliance Arena”. Siamo sicuri che questa battaglia non solo si giocherà per una sempre maggiore visibilità in Champions League. Non aspettatevi che né il Qatar né Abu Dhabi mettano da parte gli interessi personali per amore del gioco.

Insomma, le sensazioni che il calcio stia sprofondando in una ricchezza di cioccolato sotto la luce cocente del sole sono sempre più evidenti.

I Mondiali del Qatar 2022 sono alle porte.