L’ostinato idealismo di Zeman ha fatto sì che il tecnico boemo trascendesse i risultati. Ancora oggi, il suo massimo riconoscimento come allenatore rimane la vittoria del campionato di Serie B con il Foggia nel 1990/91, cosa che poi replicò con il Pescara più di due decenni dopo. Zeman ha avuto velleità di scudetto con entrambe le squadre di Roma, ma non è riuscito poi a conquistare il sogno.
Nella sua campagna inaugurale con la Lazio, i Biancocelesti segnavano una media di oltre due gol a partita. Con la velocità e la rapidità di Rambaudi, l’astuzia e le capacità balistiche di Signori e la forza in area di rigore di Pierluigi Casiraghi, la Lazio mostrava un’impressionante forza d’attacco nel 4-3-3 che, insieme alle scorribande degli esterni, a combinazioni offensive spettacolari e alla difesa a zona, ha portato alla coniazione del termine “Zemanlandia”.
Quando le squadre di Zeman vincevano, lo facevano in maniera spettacolare e annientando gli avversari. Come dimenticare le schiaccianti vittorie per 5-1 contro Napoli e Padova, un 7-1 contro il Foggia, sua ex squadra e un 8-2 alla malcapitata Fiorentina. I campioni in carica lasciarono lo Stadio Olimpico in confusione mentale, dopo un netto 4-0 per gli uomini di Zeman, la Juventus fu sconfitta 3-0 a Torino e l’Inter perse malamente sia in casa che in trasferta.
Quel secondo posto, ottenuto nel 1995, fu uno splendido riconoscimento della Lazio, che poi arrivò rispettivamente terza e quarta nel ‘96 e nel ’97. Poi Zeman passò alla Roma, dove portò una squadra terminata al 12° posto l’anno prima del suo arrivo al quarto e al quinto posto nelle due stagioni in carica. Tutto questo senza sacrificare gli ideali con cui aveva iniziato il suo percorso di allenatore: puntare sui giovani e fare del divertimento in campo il suo cavallo di battaglia.
Anche fuori dal campo Zeman faceva parlare di sé. Nel 1998 era alla guida della Roma, dove deliziava le platee con il solito calcio spettacolo croce e delizia. Il tecnico boemo lanciò un’accusa contro l’abuso di farmaci nel calcio italiano alla fine di quella stagione.
Qualche anno dopo, mosse accuse nei confronti di Luciano Moggi, definito “il grande burattinaio del calcio italiano”. Ovviamente non entriamo nel merito di vicende di questo tipo, non avendo le competenze per avere voce in capitolo.
Ciò che conta qui è che, ancora una volta, Zeman aveva optato contro la linea d’azione pragmatica, che sarebbe stata quella di non dare voce ai suoi sentimenti, privilegiando una politica, più strategica, all’insegna del silenzio. A riguardo, Zeman affermò: “Il sistema diceva ‘non ti prenderemo’, e la mia carriera ha preso un’altra direzione. Avrei potuto allenare Milan, Inter o Real Madrid”.
Invece, andò in Turchia al Fenerbahce prima di tornare in Italia in uno dei Napoli peggiori degli ultimi 30 anni e optare poi per squadre di livello inferiore. I fallimenti dopo gli anni alla Roma, non entrando nel merito delle accuse di Zeman, videro comunque grosse responsabilità da parte del tecnico, che riusciva più a esprimere il suo gioco.
Ma pagare per le sue scelte è una cosa che Zeman ha sempre fatto. Fin dai tempi di Foggia, quando Zemanlandia fece irruzione nella calcio italiano, ha ignorato il concetto stesso di gerarchia. Piuttosto, ha inseguito un’idea, una visione del calcio che riteneva corretta e più apprezzata. E, attraverso vittorie e sconfitte per 8-2, la sfida costante al pragmatismo tipico del calcio italiano, non ha mai cambiato la sua filosofia.
Zeman è rimasto fedele a se stesso, uno “zelota” affascinante che ha cercato di lasciare il suo segno non solo su coloro che ha allenato, ma anche su coloro che hanno ammirato il suo calcio.
Zeman è un romantico che da troppo tempo, tolto il canto del cigno di Pescara, non combina gioco spettacolare e risultati. Gli obiettivi erano più importanti dei risultati finali, l’estetica veniva anteposta al risultato e i suoi impulsi erano alimentati da sentimenti fortissimi.
Quando gli fu chiesto dei suoi ideali calcistici, nel 2012, Zeman affermò: “Voglio che la mia squadra intrattenga i tifosi e dia loro forti risposte emotive”.
Nel 1999, Antonello Venditti ha dedicato una nota canzone a Zeman, intitolata La Coscienza di Zeman. La canzone si chiude, giustamente, con la ripetizione della stessa strofa: “Perché non cambi mai”. E, in fondo, Zeman non è mai stato interessato a cambiare.